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La commedia del G8 è finita? No, continua!

Posted in articoli pubblicati sul blog with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 luglio, 2009 by ramon mantovani

Il vertice del G8 è finito. C’è chi dice che è stato un fallimento. Chi un successo. C’è chi ha protestato perché lo considera illegittimo e chi ha sperato che assumesse decisioni importanti. Soprattutto, come al solito, in Italia tutto è filtrato attraverso lo stretto buco della serratura della politichetta italiana.

Bisogna andare con un certo ordine per discutere seriamente del G8. Proviamoci.

Che cos’è il G8? Questa può sembrare una domanda superflua. Invece la maggior disinformazione è proprio relativa alla natura e alla funzione del G8. Ci sono decine di giornalisti televisivi e della carta stampata oltre che parlamentari, politici, sindacalisti (anche di sinistra) che non sanno (o fanno finta di non sapere) che cosa sia veramente il G8.

Quindi vale la pena di tornarci.

Il G7 nasce all’indomani della crisi petrolifera del 1973, della decisione statunitense di rendere inconvertibile il dollaro in oro e della conseguente fine del sistema monetario dei cambi fissi. Nasce come incontro informale ed episodico affinché i paesi più industrializzati (cioè quelli con il PIL più grande in assoluto) possano discutere delle diverse instabilità nel campo dei prezzi petroliferi, della finanza e del commercio. Ne fanno parte USA, Gran Bretagna, Giappone, Francia, Germania, Italia e Canada. Ma “ne fanno parte” è un’espressione imprecisa perché il G7 è e resta un incontro informale. Al contrario che per tutte le altre istituzioni internazionali i paesi non firmano nessun trattato che preveda diritti e doveri e, grazie all’informalità, i parlamenti nazionali non hanno nessun diritto da far valere prima o dopo i vertici perché, appunto, si tratta di conversazioni informali. Le “decisioni” che vengono prese (e non possono essere prese che attraverso documenti scritti con il metodo del consenso non essendo prevista nessuna votazione a maggioranza semplice o qualificata) non hanno e non possono avere nessun sistema di sanzioni o controlli circa la loro effettiva applicazione. Tecnicamente, quindi, non si tratta di decisioni bensì di “impegni”, di promesse e di intenzioni delle quali poi i singoli governi possono tenere conto a loro piacimento.

Diciamo pure che fino all’inizio degli anni 90, e cioè fino ad un importante cambio della natura del G7/G8, sebbene esistano istituzioni internazionali (per quanto ademocratiche o antidemocratiche come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) competenti nel campo dell’economia) il G7 si giustifica come riunione informale fra i 7 più ricchi per predeterminare gli orientamenti delle organizzazioni di cui sopra. Sia perché gli USA pur possedendo da soli di fatto il diritto di veto nel FMI sono interessati a costruire consenso intorno a scelte economiche e finanziarie in modo che il FMI non si paralizzi sia per egemonizzare l’altra trentina di paesi ricchi che fanno parte dell’OCSE. Inoltre, sempre negli anni 80, attraverso il G7 si discute, seppur informalmente, in un importante vertice dei paesi più ricchi, associando Giappone, Germania e Italia che non sono paesi membri permanenti e con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Negli anni 90 cambia tutto.

Il sistema del socialismo reale è dissolto e non c’è più angolo del pianeta estraneo al sistema capitalistico. La globalizzazione avanza. Le istituzioni e gli organismi economici e commerciali implementano una potente liberalizzazione dei mercati di beni e servizi, impongono politiche di ristrutturazione dei bilanci allo scopo di privatizzare tutto ed accompagnano ed in parte producono una violenta finanziarizzazione del capitalismo insieme ad una possente concentrazione del capitale. Basti pensare che dall’inizio degli anni 80 alla fine degli anni 90 le società multinazionali da 600 sono diventate 40.000 e che le principali 200 controllano più di un terzo di tutto ciò che si produce in industria, agricoltura e servizi. Questo processo colossale è e rimane in gran parte incompreso soprattutto per le sue conseguenze sociali, culturali e politiche. Ma non è questa la sede per affrontare un simile problema.

Una cosa, però, è certa.

Il G7 quando discute di economia, finanza e commercio assume la funzione di “aiutare” e favorire FMI, Banca Mondiale, OCSE e WTO nel lavoro di implementazione della globalizzazione capitalistica e soprattutto, ed è qui il cambiamento epocale, incomincia a discutere di politica. Il G7, cioè, discute di cose che sono di competenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e di tutte le sue più importanti agenzie.

Proprio quando sarebbe logico, a 50 anni dalla fine della seconda guerra mondiale e alla fine della guerra fredda, riformare l’ONU e soprattutto il Consiglio di Sicurezza, inizia un violentissimo attacco all’ONU (gli USA non pagano nemmeno più le quote loro spettanti). Il G7 inizia a concludere i propri vertici intavolando discussioni, anch’esse informali, con la Russia. Fino all’inclusione della Russia nel G8. Alla fine degli anni 90 il G8, nel corso della guerra contro la Yugoslavia che è iniziata senza nemmeno che il Consiglio di Sicurezza ne abbia discusso, si riunisce e “decide” le condizioni per mettere fine alla guerra. Al Consiglio di Sicurezza non resta che ratificare a posteriori.

Più chiaro di così si muore!

Sebbene il G7 continui a riunirsi per discutere di finanza senza la Russia il G8 è ormai diventato un direttorio mondiale che palesemente si sostituisce, svuotandola dei poteri più importanti, all’ONU.

Questo aspetto della mutazione della natura del G8 è imperante tutt’ora.

Negli anni 2000 il G8, oltre a subire durissime contestazioni da parte del movimento no-global e da parte di diversi paesi poveri ed anzi, proprio per questo, tenta operazioni di immagine per contrastare l’impopolarità crescente. Si inizia proprio a Genova dove con una mano (internazionale) si reprime violentemente il movimento tentando di criminalizzarlo e con l’altra si “apre” ai paesi poveri. Ma anche le “aperture” sono ambivalenti. A Genova, per esempio, si “decide” di istituire un fondo per la lotta contro l’AIDS. Ogni paese contribuisce volontariamente (al buon cuore), non si toccano i brevetti dei medicinali, facendo un bel favore alle multinazionali farmaceutiche e soprattutto si assesta un colpo mortale all’Organizzazione Mondiale della Sanità. In altre parole i ricchi si riuniscono, ascoltano le richieste di elemosina dei poveri, e siccome sono efficienti, al contrario dell’ONU, mettono subito mano al portafoglio. Un altro passo per il G8 direttorio mondiale è compiuto. Non importa se poi 5 anni dopo si scopre che i fondi ci sono solo in minima parte e quasi nulla si può sapere di dove sono finiti realmente. Tanto le “decisioni” del G8 non sono mica vincolanti per davvero!

Ma a Genova la manovra riesce solo parzialmente. Nel corso degli anni 2000 il G8 subisce le contestazioni (ed è per questo che non si celebrerà più in una grande città bensì in luoghi sempre più irraggiungibili) e soprattutto il processo di globalizzazione scricchiola. Il WTO non ha più approvato uno straccio di accordo commerciale perché ormai i governi, soprattutto quelli dei paesi cosiddetti emergenti, subiscono l’influenza della contestazione e non possono più firmare accordi capestro senza pagare le conseguenze in termini di consenso. La liberalizzazione del commercio decisa negli anni 80 produce le sue conseguenze sociali in termini di migrazioni bibliche, di precarizzazione e svalorizzazione del lavoro. Soprattutto in America Latina sorgono esperienze di lotta e di governo che cominciano a mettere in discussione con fatti l’egemonia capitalistica. La finanziarizzazione è fuori controllo dal punto di vista della dimensione del capitale speculativo e per le conseguenze delle sue crisi ricorrenti. Le guerre in corso, come prevedibile, non costruiscono stabilità ma al contrario raggiungono il vero obiettivo di distruggere l’ordine internazionale esistente.

Cosa fare di fronte a tutto ciò?

I governi dei paesi ricchi, se vogliono rimanere tali, devono inaugurare una nuova fase politica.

Per rimettere in discussione i capisaldi delle politiche liberiste e della guerra? No, nella maniera più assoluta. Riformando l’ONU e democratizzando il sistema di relazioni internazionali? Macché!

La nuova fase è semplicemente l’allargamento del G8 ai paesi “emergenti”, la celebrazione di G8 o 14 o 20 fa lo stesso di ministri competenti su tutto lo scibile umano assestando un altro colpo mortale alle agenzie dell’ONU e una bella operazione di immagine attraverso altre elemosine (finte o vere fa poca differenza).

Basta leggere i resoconti, per quanto superficiali e apologetici, delle discussioni e delle “decisioni” dell’ultimo G8 in Italia per rendersi conto che la “nuova fase politica” sotto l’egida di Obama è solo l’adattamento dell’immutata strategia di dominio del mondo.

Per carità, nessun protezionismo! Speriamo che si possa concludere il Doha round del WTO nel 2010! Mettiamo qualche regoletta alle transazioni finanziarie al fine di impedire che il sistema uccida se stesso ma senza (non sia mai!) mettere in discussione la dittatura del mercato. E, dulcis in fundo, elargiamo una ventina di miliardi di dollari di beneficenza (che in grandissima parte erano già stati decisi e mai versati). E tutto questo si fa meglio mettendo da parte l’unilateralismo di Bush, che pretendeva di battere strade che gli atri avrebbero poi dovuto seguire con le buone o con le cattive, e tornando al multilateralismo che piace tanto ad Obama e a quella parte della sinistra che in Europa ha sposato le politiche liberiste.

Intanto, che ne è del movimento che si oppone a tutto questo?

Nel mondo cresce in forza e consapevolezza. Si allarga ed influisce direttamente o indirettamente nelle politiche di un numero sempre crescente di paesi.

Ma in Italia, al netto delle idiozie sui numeri di manifestazioni in luoghi inaccessibili e in giorni feriali, sembra essere in crisi.

E’ passata, da Genova in poi, molta acqua sotto i ponti.

Una parte di coloro che furono a Genova oggi fanno parte della “Coalizione italiana contro la povertà”. Che io chiamo senza credere di esagerare la Coalizione dei servi. Oltre alla CGIL diverse ONG ed Associazioni della cosiddetta società civile, e che vivono però di finanziamenti pubblici, dopo aver per anni denunciato l’illegittimità del G8 ed aver sottoscritto documenti e proclami radicalissimi ai social forum mondiali ed europei, si sono ammucchiati con ACLI, UIL ed altre organizzazioni che ai tempi di Genova attaccavano durissimamente il Genoa Social Forum, con l’obiettivo di “pressare il G8”!

Sul sito di questa coalizione l’ultimo aggiornamento, oggi sabato 11 luglio, è relativo al seguente comunicato:

G8, GCAP:”BERLUSCONI CONSEGNA AI LEADER G8 L’APPUNTO RICEVUTO DALLA COALIZIONE IL 2 LUGLIO”.

“Per la Coalizione questo è un importante traguardo raggiunto, la pressione esercitata sul Governo ha funzionato. Ora il documento è nelle mani di chi ha la possibilità di tradurre le nostre proposte in scelte politiche efficaci. Se ciò non accadesse, sarebbe un ulteriore motivo per sancire l’inefficacia e l’inutilità di vertici come questo”.

Inefficacia? Inutilità?

Solo dei servi consapevoli di esserlo e dei mentitori patentati possono usare queste parole per un vertice che invece è efficacissimo ed utilissimo, anche se per altri scopi.

O credono davvero questi signori, alcuni dei quali per anni hanno detto che il vertice è illegittimo, che facendo una supplica ai potenti si possa ottenere la soluzione dei problemi del mondo?

Ma lasciamo perdere la miseria di chi tenta di legittimare il G8 pur facendo finta di chiedere cose giuste e di criticarlo blandamente.

Abbiamo ben altri problemi.

Il movimento in Italia c’è, se stiamo ai contenuti. Ma è diviso perfino sulle forme e sui tempi con cui manifestare. E’ inutile negarlo.

Oltre alle evidenti piccole logiche egemonistiche di organizzazioni che cercano spasmodicamente la “visibilità” fine a se stessa ed ottenuta con la ricerca del dettaglio che divide rispetto al molto che unisce, abbiamo soprattutto il prevalere dell’assolutizzazione di analisi e progetti incapaci di comunicare fra loro e che portano ad incredibili semplificazioni e alla prevalenza della discussione sui metodi di lotta (impropriamente esemplificativi delle differenze di progetto).

In altre parole pur essendo uniti dall’anticapitalismo e dalla critica del G8 sembra che a dover dividere sia il luogo e il tempo di una manifestazione.

Non è logico che sia così. Ed infatti non lo è.

Non c’è altra strada che unire politicamente e rispettare le pratiche diverse, come fu fatto saggiamente a Genova.

Non c’è altra possibilità se non quella di unire le campagne politiche contro il capitalismo contemporaneo alla lotta sociale quotidiana.

Non c’è speranza di risalire la china se non ritrovando una profonda coerenza tra contenuti anticapitalistici e comportamenti nella sfera istituzionale e nelle relazioni politiche.

Ogni unità della sinistra o dei comunisti che prescinda da questo è una falsa unità, foriera di ulteriori divisioni.

ramon mantovani