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Governo di sinistra in Spagna. Comincia il difficile.
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Posted in articoli pubblicati sulla carta stampata ed altri siti with tags alberto garzon, anova, barcelona en comù, cayo lara, compromis, comunismo, elezioni spagna, en comù podem, en marea, errejon, esquerra unida i alternativa, ezquerda unida, gaspar llamazares, iniciativa per catalunya, izquierda unida, pablo iglesias, pce, pedro sanchez, podemos, politica, psoe, ramon mantovani, sinistra, spagna on 13 maggio, 2016 by ramon mantovaniPodemos, Izquierda Unida e la formazione ecologista Equo hanno raggiunto un accordo per presentarsi uniti alle elezioni anticipate del 26 giugno.
L’accordo è stato sottoposto ad un referendum fra gli iscritti delle tre organizzazioni. Approvato con il 87,8 % dei voti in IU, con il 98 % in Podemos e con il 92 % in Equo.
Tutte le forze parteciperanno alla campagna elettorale con i propri rispettivi programmi già presentati alle elezioni di 5 mesi fa. Ma è stato elaborato un programma minimo comune che comprende tutti i punti già simili o identici fra quelli delle singole forze, e che prospetta le linee guida di un eventuale governo. Sia Podemos, che IU, che Equo, che le tre liste unitarie locali autonome di Catalunya, Galicia e Pais Valencià, avranno ampia autonomia e visibilità in parlamento. La formazione di gruppi parlamentari distinti è auspicata ma dipenderà dall’ufficio di presidenza del parlamento.
Izquierda Unida avrà un sesto degli eletti, senza contare le tre liste regionali.
Nella scheda elettorale (in Spagna non c’è un’unica scheda con i simboli di tutti partiti bensì una scheda per ogni partito o coalizione che l’elettore chiude in una busta e depone nell’urna) saranno visibili i simboli di tutte le forze coalizzate nella circoscrizione.
Il nome della coalizione non è ancora stato deciso.
Per comprendere l’importanza e la portata dell’accordo è necessario ricordare gli antefatti.
Alle elezioni del 20 dicembre del 2015, 5 mesi fa, l’accordo non fu possibile.
Nei mesi precedenti Izquierda Unida propose, reiteratamente e apertamente, di fare un accordo elettorale e programmatico di tutte le forze della sinistra alternativa, con l’ambizione di ottenere una vittoria elettorale sufficiente a produrre una svolta nel paese e un governo capace di rovesciare le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea, e di avviare un processo costituente per superare la costituzione del 1978, fortemente intrisa di continuità col regime franchista. Indicò nell’esperienza della lista vittoriosa alle elezioni municipali di Barcellona, Barcelona en Comù, l’esempio da seguire come modello di unità.
Podemos rifiutò la proposta sostenendo che non avrebbe proceduto a fare accordi generali con IU per non collocarsi all’estrema sinistra nello schieramento politico, avendo scelto di essere forza legata alla dialettica alto-basso e non alla tradizionale destra-sinistra, e si dichiarò disponibile a produrre liste unitarie solo in alcuni territori dove, oltre alle organizzazioni di Izquierda Unida o federate a IU, insistevano altre consistenti forze di sinistra locali e delle nazionalità catalane e galiziane. Compromis nel Pais Valencià. En Marea in Galicia, comprendente già da anni sia Anova (nazionalisti di sinistra) sia Esquerda Unida. Barcelona en Comù, Iniciativa per Catalunya e Esquerra Unida i Alternativa in Catalogna.
Un appello con centinaia di personalità del mondo della cultura, dell’arte, dei movimenti sociali, e con esponenti locali di Podemos e Izquierda Unida, invocò la necessità dell’”Unidad Popular”. Ma la segreteria di Podemos rispose, anche sprezzantemente, di no. Ed anzi si adoperò con successo affinché Izquierda Unida del Pais Valencià fosse esclusa dalla lista unitaria locale. E mise in pericolo tutte e tre le liste unitarie locali insistendo, senza però riuscirci, affinché nel nome e nella composizione fossero appendici di Podemos e non progetti politici unitari.
Così alle elezioni si presentarono 5 liste. Cosa possibile data la legge elettorale che non prevede un collegio unico statale.
Podemos in tutto lo stato tranne che nel Pais Valencià, Galicia e Catalunya. 3.182.082 voti (12,67% a livello statale comprese le tre regioni dove si è presentato in coalizione) 42 seggi.
Izquierda Unida – Unidad Popular in tutto lo stato tranne che in Galicia e Catalunya. 923.133 voti (3,67% comprese le due regioni dove si è presentato in coalizione) 2 seggi.
Compromis – Podemos – Es el Moment nel Pais Valencià. 671.071 voti (2,67% a livello statale e 25,09% nel Pais Valencià) 9 seggi di cui 4 di Podemos.
En Marea in Galicia. 408.370 voti (1,63% a livello statale e 25,04% in Galicia) 6 seggi di cui 2 di Podemos e 1 di Izquierda Unida.
En Comù Podem in Catalunya. 927.940 voti (3,69% a livello statale e 24,74% in Catalunya) 12 seggi di cui 1 di Podemos e 2 di Esquerra Unida i Alternativa.
Anche per un osservatore superficiale appare chiaro che il non aver fatto una lista unitaria in tutto lo stato spagnolo è stato un grave errore.
Per diversi motivi.
1) La strategia elettorale di Podemos secondo la quale l’unità con Izquierda Unida avrebbe appannato l’immagine trasversale della formazione non ha funzionato. Al contrario le liste locali unitarie con IU e con forze esplicitamente di sinistra alternativa hanno raccolto percentuali più alte.
2) La somma dei voti di Podemos, di Izquierda Unida e delle tre liste unitarie locali avrebbe collocato una lista unitaria come seconda forza politica del paese, con circa 500mila voti in più del Psoe. Avrebbe incrementato i seggi di una quindicina collocandola come terza forza parlamentare a pochissimi seggi di distanza dal Psoe.
3) la campagna elettorale competitiva, con ovvi accenni polemici e progressivi distanziamenti politici fra Podemos e IU, ha senza dubbio deluso una parte dell’elettorato di entrambe le formazioni ed impedito l’effetto trascinamento che avrebbe avuto una lista unitaria. Come le tre liste locali dimostrano ampiamente.
Queste considerazioni appaiono oggi sostanzialmente inconfutabili agli occhi della stragrande maggioranza degli elettori e dei militanti di sinistra in Spagna.
Ma nei quattro mesi di trattative infruttuose fra le forze politiche per formare il governo fino all’inusitato scioglimento delle camere e alla conseguente convocazione di nuove elezioni sono successe altre cose che hanno determinato l’accordo fra Podemos e IU.
Vediamole, anche in questo caso sommariamente.
Appena insediata la legislatura PP, Psoe e Ciudadanos hanno siglato un accordo per eleggere la presidenza della camera precostituendo una maggioranza nell’ufficio di presidenza (uso i termini italiani per essere meglio compreso) allo scopo di impedire che le tre liste locali non collegate ufficialmente né a Podemos né a Izquierda Unida potessero avere gruppi propri. Senza entrare nel complesso regolamento delle Cortes basti dire che c’erano precedenti che lo avrebbero consentito. Come quando fu autorizzato il gruppo del PSC (Partit dels socialistes de catalunya) che pure era parte del PSOE. Podemos, del resto, in tutte e tre le liste aveva accettato che queste in parlamento si sarebbero costituite in gruppi autonomi. Lo stesso ufficio di presidenza ha impedito che IU formasse un gruppo proprio o in condivisione tecnica con altri. Anche in questo caso c’erano precedenti che lo avrebbero permesso.
Le conseguenze sono state molteplici.
La lista del Pais Valencià si è rotta e i 4 deputati di Compromis sono passati al gruppo misto. Le altre due hanno deciso di collocarsi nel gruppo di Podemos dato il suo peso e le prerogative che questo comporta, ottenendo una divisione dei tempi di parola e di iniziativa parlamentare, ma provocando però problemi ai deputati di Izquierda Unida di Galicia e Catalunya. In ogni caso è apparsa molto chiara all’opinione pubblica la natura complessa e plurale del gruppo parlamentare di Podemos.
Ma veniamo alle cose più imporanti.
Senza riferire le lunghe ed estenuanti trattative e i vari colpi di scena che si sono susseguiti, la sostanza era che c’erano in realtà solo due alternative realistiche dal punto di vista dei numeri parlamentari.
Governo di grande coalizione. Proposto dal PP e da Ciudadanos. Ma non accettato dal PSOE. Avrebbe avuto di gran lunga una maggioranza di seggi.
Governo di sinistra. Proposto da Podemos, Izquierda Unida e dalle tre liste locali (da ora le chiameremo Confluencias come fa la stampa spagnola). 161 voti su 176 necessari per la maggioranza assoluta. Si sarebbe dovuto aprire un dialogo con le forze indipendentiste catalane e nazionaliste basche per ottenere la maggioranza o assoluta o almeno semplice. Queste ultime si erano dichiarate disponibili. Il Psoe ha rifiutato.
Ma, ad un certo punto, con un colpo di scena Pedro Sanchez del PSOE accetta il mandato del Re per tentare di essere “investito” dal parlamento. Avvia un dialogo separato con la sinistra e con Ciudadanos e in tempi brevissimi stringe un accordo programmatico di governo con Ciudadanos. E chiede alle forze di sinistra di sostenerlo per impedire che il PP possa continuare a governare. Si sottopone al voto e viene bocciato in entrambe le votazioni.
(In Spagna la fiducia viene accordata dal parlamento al primo ministro e non al governo. Nella prima votazione è necessaria la maggioranza assoluta e nella seconda la maggioranza semplice. Se il primo ministro non viene eletto nelle due votazioni si torna al punto di partenza con nuove consultazioni del Re).
Seguono negoziati ma ormai diventa chiaro che il Psoe preferisce insistere sul suo accordo con una forza di destra (nel corso della campagna elettorale definita da Sanchez “di estrema destra”), ricattando la sinistra che a suo dire avrebbe dovuto sostenerlo nel voto di investitura con l’argomento ben conosciuto in Italia: “altrimenti fate un favore al PP”.
Nel terzo giro di consultazioni il Re verifica che non esistono possibilità per nessun candidato e si va dritti alle elezioni anticipate.
Ora, per quanto irrazionale possa apparire il comportamento del Psoe, ci sono due fattori che hanno fortemente condizionato il tentativo di Sanchez di agglutinare una maggioranza di governo e che nei fatti glielo hanno impedito.
Il primo è che sulla politica economica e sociale, sebbene retoricamente il Psoe abbia dipinto le proprie posizioni come una “svolta” di sinistra rispetto al precedente governo socialista di Zapatero e come antagoniste al programma del PP, in realtà non voleva né poteva (senza spaccarsi verticalmente) mettere in discussione nessun caposaldo delle politiche di austerità e dei tagli sociali.
Il secondo è che sia Izquierda Unida, sia Podemos (anche se con qualche colpevole esitazione) e tanto più le Confluencias ponevano come condizione prioritaria, oltre ad una vera svolta sul terreno economico sociale, anche l’autorizzazione di un referendum di autodeterminazione in Catalogna. E su questo punto il Psoe, che in passato era repubblicano e federalista, negli ultimi anni ha subito un’involuzione che lo ha portato su posizioni monarchiche e nazionaliste spagnole.
Dati questi condizionamenti il Psoe non poteva che fare come ha fatto.
La convocazione di nuove elezioni ha aperto, in tutta la sinistra spagnola e nei movimenti sociali significativi, un dibattito incalzante sulla necessità di costruire l’unità in un fronte comune, per conquistare i consensi necessari a determinare un’alternativa di governo.
La necessità, ed anche la razionalità politica, è una cosa. Ma come è ovvio la possibilità reale e la realizzabilità di un simile progetto è un’altra.
C’erano diversi scogli da superare.
Ora che l’accordo è fatto sarebbe sbagliato sorvolare sulle difficoltà superate. Sia per comprendere bene la natura dell’accordo, sia per capirne i limiti. E, sia detto per inciso, per poterne trarre lezioni utili a processi unitari in altri paesi europei, e segnatamente in Italia.
La prima difficoltà risiede nella diversità ideologica e programmatica delle forze politiche che hanno dato vita all’accordo. E nelle dinamiche interne ad ognuna di esse.
Dalla sua fondazione Podemos si è dichiarata forza “trasversale” e nel corso del tempo ha abbandonato via via gli obiettivi più radicali del suo programma. Mentre, per esempio, i programmi di Izquierda Unida e di Podemos alle elezioni europee del 2013 erano sostanzialmente identici, quelli delle elezioni del 20 dicembre 2015 sono stati molto diversi su questioni fondamentali. Podemos ha abbandonato l’idea di una rottura con la transizione del 1978 e la conseguente prospettiva di un processo costituente per la Repubblica. Ha abbandonato l’idea della disobbedienza ai trattati europei e della ristrutturazione del debito. Ha abbandonato la contrarietà alla NATO. E così via. Tutto ciò, ovviamente, per occupare uno spazio “centrale” nel mercato elettorale evitando di farsi schiacciare all’estrema sinistra.
Inoltre, le teorie neopopuliste di sinistra che ispirano il suo gruppo dirigente sono state alla base del tentativo, forte della popolarità televisiva del leader e di un assetto organizzativo interno ultraverticistico, di rivendicare la rappresentatività di tutti i movimenti sociali e di assorbire tutti gli interlocutori politici, sia a livello statale sia a livello territoriale.
La moderazione dei contenuti programmatici non ha prodotto gli effetti desiderati giacché secondo tutti gli studi e analisi Podemos è per gli spagnoli una forza inequivocabilmente della sinistra radicale. Nuova nel linguaggio e nello stile si, ma collocata alla sinistra del Psoe. Del resto nel corso delle trattative e dei dibattiti parlamentari la proposta di Podemos per formare un governo di coalizione con il Psoe, con Izquierda Unida e con le Confluencias, per quanto definita “di cambiamento”, “di progresso” ecc da Pablo Iglesias era definita “di sinistra” da tutti gli altri interlocutori politici e da tutta la stampa.
Analogamente il tentativo di assorbire Izquierda Unida è fallito. Nell’autunno 2015 Podemos ruppe all’improvviso le trattative per un accordo elettorale con IU Iglesias disse ai quattro venti che aveva molta stima di diversi dirigenti di IU, a cominciare da Alberto Garzon, e che li avrebbe candidati ed eletti volentieri se questi avessero accettato di entrare nelle liste a titolo individuale e non sulla base di un accordo politico con IU. Naturalmente ottenne un netto rifiuto. La presenza di IU nelle Confluencias di Galicia e Catalunya, oltre al milione di voti conquistati in condizioni difficilissime da IU in competizione con Podemos, hanno dimostrato banalmente che con IU bisogna fare i conti, rispettandone l’identità, la storia e il radicamento sociale. Anche il profilo politico di En Comù Podem, di En Marea e di Compromis, tutt’altro che identico o subalterno a Podemos, ha dimostrato che la omogeneizzazione di tutte le organizzazioni ed esperienze politiche in un Podemos “trasversale” è semplicemente impossibile. E che insistere su questa strada avrebbe condotto ad una implosione dello stesso Podemos.
Nel corso degli ultimi mesi all’interno di Podemos, ancorché in modo sotterraneo e poco trasparente, questi nodi sono venuti al pettine.
In numerose organizzazioni locali di Podemos, sia regionali che cittadine, anche importantissime come Madrid, sono esplosi conflitti interni di vario tipo e natura. Quando Iglesias ha destituito d’imperio (è facoltà del segretario generale di Podemos) il responsabile organizzazione del partito, nel gruppo dirigente centrale di Podemos è emersa una divergenza ben più consistente di quanto potesse apparire. La stampa ha parlato esplicitamente, in diversi casi esagerando volutamente ma senza per questo inventarsi nulla di sana pianta, di una divergenza fra Iglesias e Íñigo Errejón (responsabile della Politica, della Strategia e delle Campagne elettorali del partito ed universalmente considerato il numero 2 di Podemos) sulla natura stessa del partito e perfino sulla scelta o meno di permettere, con un voto favorevole, la nascita del governo Psoe Ciudadanos. I protagonisti della vicenda hanno ovviamente minimizzato profondendosi in attestati di stima reciproca, ma non hanno smentito di avere divergenze.
Insomma, è certo che senza questo bagno di realtà e senza un regolamento di conti interno al gruppo dirigente di Podemos sarebbe oggi difficile parlare dell’accordo unitario.
Anche in Izquierda Unida le cose non sono state facili.
Già ai tempi delle ultime elezioni quando Alberto Garzon, nominato capolista e quindi responsabile politico della campagna elettorale, insisteva per un accordo con Podemos, emersero forti divergenze nel gruppo dirigente di IU.
Vi erano due posizioni che potremmo definire di “diffidenza” e di “contrarietà” ad un processo unitario con Podemos.
La prima era ben spiegabile ed anche comprensibile, data la linea di Podemos esplicitamente vocata all’annessione di IU e alla liquidazione della sua trentennale esperienza, impersonata dallo stesso Coordinatore Federale di IU, Cayo Lara, e da diversi dirigenti nazionali e locali.
La seconda, di netta contrarietà, è quella della destra interna di Izquierda Unida, impersonata dall’ex Coordinatore Federale Gaspar Llamazares e dal partito Izquierda Abierta, di cui lo stesso Llamazares è portavoce.
Nel corso delle ultime settimane la posizione di Cayo Lara è stata di consenso sul tentativo di raggiungere un accordo con Podemos, ma con condizioni di reciprocità e programmatiche precise, mentre Gaspar Llamazares ha espresso più volta la contrarietà.
È evidente che se da una parte il modello di partito di Podemos, la sua natura ultraleaderistica, la sua spregiudicatezza nell’uso dei mass media ecc, per una forza politica anticapitalista e radicata come Izquierda Unida non può che suscitare diffidenza, dall’altra è altrettanto evidente che la crisi del sistema politico spagnolo bipartitico ha messo in questione anche il ruolo e la natura di IU.
Ed è esattamente su questo punto che si annidano le vere divergenze.
Nel sistema bipartitico spagnolo, a causa della legge elettorale senza collegio unico nazionale Izquierda Unida è sempre stata sottodimensionata nei voti rispetto alla sua presenza nelle lotte e sul territorio. Ha sempre pagato il prezzo di essere un “satellite” del Psoe in molti governi locali e nel parlamento quando si è astenuta permettendo al Psoe di governare in solitario, o di essere accusata di favorire il PP quando ha votato contro il Psoe.
Nel corso del tempo si sono sedimentati due modi di essere di IU. Forza interna al sistema dei partiti partecipe di numerosi governi locali, ed in alcuni casi anche alle pratiche di sottogoverno, egemonizzati dal Psoe. Forza orgogliosamente antagonista ed eticamente inattaccabile, ma impossibilitata a influire realmente ed a conquistare obiettivi per le classi subalterne.
La crisi sociale, la crisi politica, la nascita di Podemos e i suoi successi, la spinta all’unità per conquistare il governo nata con le esperienze municipali di Barcellona e Madrid, non potevano non mettere in crisi anche entrambe le propensioni poco sopra descritte. Una sostanziale appartenenza al sistema dei partiti in crisi e una subalternità al Psoe avrebbero condotto Izquierda Unida a una crisi irreversibile. Parimenti l’illusione di poter, con le proprie sole forze, guidare un’alternativa di governo, sul modello di Syriza, avrebbe separato IU da tutti i processi unitari e soprattutto da milioni di persone che vedono oggi per la prima volta la possibilità di tentare di cambiare le cose per davvero.
Perciò è emersa una posizione politica, ed anche nuovi dirigenti a cominciare da Alberto Garzon, capaci di guidare IU nella mutante realtà politica spagnola. Capaci di mettere a valore l’esperienza e le proprie migliori tradizioni in processi unitari, senza rinunciare alla propria organizzazione e identità. Capaci di cacciare da IU la federazione di Madrid perché aveva deciso di non partecipare alla lista unitaria. Capaci di rinunciare alle lusinghe, in termini di seggi e di certezze, dell’assorbimento in Podemos e di rischiare tutto presentandosi soli alle elezioni, nella completa invisibilità massmediatica senza scadere mai, al contrario di Podemos, nella pratica degli insulti e denigrazioni dei possibili mancati alleati. Va detto che il Partito Comunista di Spagna, i cui militanti sono iscritti individualmente ad IU, nelle prese di posizione del suo gruppo dirigente ha fortemente aiutato e sostenuto la linea che alla fine è prevalsa in IU.
Ora vedremo lo svilupparsi della campagna elettorale e soprattutto i risultati, che con questa operazione unitaria della sinistra radicale potrebbero essere molto diversi dalla tornata precedente.
Se la lista diventasse la prima o la seconda forza politica del paese il Psoe dovrà decidere se appoggiare un governo di sinistra o fare la grande coalizione con PP e Ciudadanos.
Sarebbe scontato l’appoggio delle forze indipendentiste catalane e nazionaliste basche giacché nel programma minimo comune è previsto il diritto all’autodeterminazione per le nazioni interne allo stato spagnolo e un immediato referendum in Catalunya.
In ogni caso, anche se la differenza sarebbe enorme, o dal governo o dall’opposizione questa unità dovrà darsi una prospettiva di più lungo respiro.
Ancora una volta l’esperienza catalana di En Comù Podem, dove già si discute di far funzionare tutto sulla base della partecipazione dal basso con il principio una testa un voto, senza che nessuna delle forze politiche debba rinunciare alla propria organizzazione e identità, può essere un esempio per tutta la Spagna.
A mio parere dovrebbe e potrebbe esserlo anche per l’Italia.
ramon mantovani
Pubblicato il 12 maggio 2016 sul sito http://www.rifondazione.it
Le elezioni spagnole del 20 dicembre
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Il territorio dello stato spagnolo è diviso in 52 circoscrizioni elettorali provinciali.
Non esiste un collegio unico nazionale (come esisteva in Italia ai tempi del proporzionale) per attribuire ai partiti anche i seggi corrispondenti ai voti che non hanno concorso ad eleggere direttamente nelle circoscrizioni.
Essendo le circoscrizioni disomogenee dal punto di vista della popolazione e del rapporto seggi elettori sono sempre stati avvantaggiati i due grandi partiti (PP e PSOE) e i partiti nazionalisti catalani, baschi e galiziani. E svantaggiati i partiti presenti su tutto il territorio ma non abbastanza grandi per eleggere direttamente nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni.
In altre parole, che gli esempi concreti parlano da soli, nelle elezioni del 20 dicembre i seggi dei partiti presenti su tutto il territorio hanno un rapporto con il numero di elettori molto diverso. Un seggio del PP rappresenta 58mila voti. Del PSOE 61mila. Di PODEMOS 75mila. Di CIUDADANOS 87mila. Di IZQUIERDA UNIDA 460mila (!!!).
Quanto alla differenza fra i partiti presenti solo in poche circoscrizioni rispetto a quelli presenti in tutte basti l’esempio che segue.
Il PARTITO NAZIONALISTA BASCO con 300mila voti elegge 6 deputati e IZQUIERDA UNIDA con 900mila voti ne elegge due. Il PNV con un terzo dei voti di IU elegge il triplo di deputati. Un deputato di IU rappresenta 460mila elettori e uno del PNV 50mila.
Questo sistema, come è evidente, ha sempre prodotto un effetto preciso: il bipartitismo e con esso il voto “utile”.
Nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni gli elettori di IZQUIERDA UNIDA sapevano, legislatura dopo legislatura, che il loro voto sarebbe andato disperso, e quindi molti di loro hanno optato per votare per il PSOE contro il PP.
Questo effetto è stato moltiplicato in queste elezioni dalla presenza di PODEMOS accreditato nei sondaggi della possibilità di competere per vincere le elezioni.
Fino a qui la descrizione oggettiva del sistema elettorale e delle storture che produce nella rappresentanza.
Ora passiamo alle questioni politiche.
Prima dell’analisi del voto vero e proprio è necessario esaminare, sommariamente anche in questo caso e con particolare attenzione per la sinistra, le questioni politiche in ballo in questa tornata elettorale.
I temi centrali della campagna elettorale sono stati tre: le questioni economico sociali, la crisi del bipartitismo insieme al tema della corruzione e del “nuovo contro il vecchio”, la questione indipendentista catalana ed insieme le riforme costituzionali, federali o meno.
Il PP ha affrontato la campagna vantando la crescita economica del 3 % e la creazione di un milione di posti di lavoro negli ultimi due anni, attribuendoli all’efficacia della propria riforma del mercato del lavoro. Ha tentato di apparire come scevro da corruzione per aver espulso gli innumerevoli suoi dirigenti (anche di primissimo piano) accusati e condannati. Si è eretto come difensore strenuo della costituzione negando ogni possibilità di procedere a riforme in senso federale e tantomeno di riconoscere il diritto all’autodeterminazione dei catalani.
Il PSOE ha contestato i dati economici vantati dal PP e si è perfino lievemente autocriticato per aver promosso con l’ultimo governo Zapatero, ottenendo il voto del PP, la riforma costituzionale che ha introdotto il pareggio di bilancio in costituzione. Ha correttamente ricordato che i posti di lavoro sono tutti precari (il 50 % dei contratti sono di durata inferiore alla settimana) dimenticando che la maggior precarizzazione del mercato del lavoro fu operata dal governo Zapatero. Ha proposto di introdurre in costituzione i diritti sociali, ma senza rimuovere il pareggio di bilancio. Ha attaccato il PP sulla corruzione, salvo sentirsi elencare gli analoghi ed innumerevoli casi di corruzione del PSOE. Ha proposto una riforma federale della costituzione, senza toccare la monarchia, e negando il diritto all’autodeterminazione dei catalani.
CIUDADANOS è un partito nuovo per la Spagna. Nato in Catalogna una decina di anni fa come piattaforma civica contro l’insegnamento prevalente della lingua catalana nelle scuole, e presente fino ad ora solo nel parlamento catalano. Quando la crisi del sistema bipartitico è stata evidente e PODEMOS era accreditato di poter vincere le elezioni, alcuni potentati economici e i loro mezzi di informazione hanno esplicitamente e dichiaratamente sponsorizzato un “necessario” PODEMOS di destra.
La sua campagna elettorale è stata incentrata su proposte ancor più liberiste di quelle del PP circa economia e lavoro, sulla retorica anticasta ed anticorruzione come uniche e vere responsabili della crisi, sul “nuovo contro il vecchio” e contro ogni aspirazione indipendentista e comunque all’autodeterminazione del popolo catalano.
Passiamo ora alle complicate vicende della sinistra.
Dentro la crisi e fino alle elezioni europee del 2014 IZQUIERDA UNIDA era, nei sondaggi, accreditata di crescite spettacolari. Era accreditata di raccogliere gran parte dei voti del movimento degli “indignados” essendo il suo programma coincidente con le rivendicazioni del movimento. Ristrutturazione del debito e non pagamento degli interessi sullo stesso. Disobbedienza ai trattati neoliberisti europei. Rottura con l’assetto costituzionale post franchista e processo costituente di una repubblica federale. Cancellazione della “riforma” costituzionale del pareggio di bilancio. Cancellazione delle riforme del mercato del lavoro dei governi di PP e PSOE. Contrarietà alla NATO e alle missioni militari spagnole in Afghanistan e seguenti. Riforma del sistema elettorale in senso strettamente proporzionale. Pieno riconoscimento della natura plurinazionale dello stato e diritto all’autodeterminazione per ognuna delle nazionalità. Sono questi punti programmatici sostanzialmente gli stessi con i quali IZQUIERDA UNIDA si è presentata alle elezioni del 20 dicembre.
Ma alle elezioni europee dell’anno scorso si presentò PODEMOS.
Un gruppo di professori (prevalentemente politologi e diversi esponenti di una formazione politica (IZQUIERDA ANTICAPITALISTA) fuoriuscita da IU proposero una lista elettorale richiamandosi esplicitamente al movimento degli indignados.
Il nome “podemos” (in italiano possiamo) deriva dallo slogan del movimento “si se puede” a sua volta copiato dallo slogan “yes we can” di Obama, ed usato soprattutto durante gli impedimenti degli sfratti dal forte movimento contro gli sfratti (PAH).
Questa nuova lista aveva lo stesso programma di IZQUIERDA UNIDA. Quasi identico.
Ma ebbe molto successo massmediatico (IZQUIERDA ANTICAPITALISTA aveva tentato già in proprio una presentazione elettorale ottenendo nel 2011 nelle circoscrizioni dove si era riuscita a presentare sempre meno del 0,5 % dei voti) solo ed esclusivamente per il capolista Pablo Iglesias. Fondatore di una TV digitale collegata ad un quotidiano e da tre anni presente in tutti i dibattiti televisivi come opinionista. Personaggio dalla forte retorica anticasta ed antisistema. Non privo di stravaganze, come una difesa apologetica del diritto democratico (sic) dei cittadini statunitensi a comprare e portare armi.
La lista di PODEMOS ottenne un ottimo 8 % dei voti, contro il 10 % di IZQUIERDA UNIDA e 5 deputati europei contro i 6 di IU.
Da quel momento Iglesias moltiplicò ancor di più le sue presenze televisive.
In pochi mesi fu fondato il partito. La struttura del quale è ultraverticistica. Segretario generale con enormi poteri. Segreteria omogenea scelta dal leader. Decisioni importanti prese sottoponendo a referendum fra gli iscritti (in internet senza pagamento di nessuna quota) le proposte del leader ed eventuali altre alternative. Nei diversi referendum fatti non hanno mai votato più del 20 % degli “iscritti” con successo plebiscitario delle proposte di Iglesias.
Il partito venne fondato in una kermesse (sei settemila partecipanti) con una forte retorica anticasta, con la ostentazione della volontà di conquistare la “centralità” della scena politica e di non confinarsi nella logica destra-sinistra.
PODEMOS sui territori verrà costituito in seguito con una attenta selezione dei gruppi dirigenti operata dalla squadra centrale di Iglesias.
IZQUIERDA UNIDA, sempre più ignorata dai mass media, reagisce a tutto ciò proponendo unità. Dichiarandosi disposta a rinunciare alla propria stessa presenza elettorale in favore di una lista unitaria costruita dal basso, capace di agglutinare tutto ciò che fosse antiliberista e concorde con i programmi di IU e di PODEMOS, ancora sostanzialmente uguali. E indica come responsabile della costruzione dell’unità e come proprio eventuale candidato (da sottoporre a primarie) a capeggiare tale lista Alberto Garzon, il 29enne deputato eletto da IU alle politiche del 2011 come espressione diretta del movimento degli indignados, di cui era esponente di primo piano.
Ma ormai i sondaggi cominciano a dire che PODEMOS è il primo partito, e che Iglesias sarà il nuovo capo del governo.
Intanto sorgono, sull’esempio da Barcellona dove la PAH locale lo propone prima della fondazione di PODEMOS, in diverse città della Spagna esperienze unitarie che raccolgono movimenti sociali e partiti della sinistra radicale. Esperienze alle quali PODEMOS si accoderà buon ultimo, non foss’altro che perché costituitosi dopo che erano già ampiamente avviate.
Queste liste vincono le elezioni in molte città. IZQUIERDA UNIDA partecipa a quasi tutte. E dove le sue organizzazioni locali non lo fanno, come a Madrid, vengono sconfessate dalla direzione nazionale già in campagna elettorale, e poi espulse da IU.
Ma i mass media, nonostante i risultati delle contemporanee elezioni regionali deludenti rispetto alle aspettative (PODEMOS è sempre terzo o quarto o quinto partito e sempre dietro al PSOE), attribuiscono il successo delle liste unitarie cittadine unicamente a PODEMOS.
Da quel momento però, PODEMOS, comincia a calare nei sondaggi. Forse a causa di polemiche interne che ovviamente trovano ampio eco sui mass media. Forse a causa del sostegno che PODEMOS da, ancorchè dall’esterno, a diversi governi locali del PSOE. Forse a causa delle accuse di estremismo che gli vengono rivolte da più parti per la natura antisistemica del suo programma. Ma certamente a causa del primo successo di CIUDADANOS alle regionali. E dalla competizione di CIUDADANOS su un terreno che fino a quel momento era stato esclusivo di PODEMOS: la retorica anticasta e anticorruzione.
IZQUIERDA UNIDA insiste nella costruzione di una lista unitaria sul modello di Barcelona en Comù in tutta la Spagna. A sostegno di questa proposta si schiera un appello per una lista di unità popolare firmata da centinaia di intellettuali, artisti, dirigenti sindacali ed anche da molti esponenti locali di PODEMOS.
Ma PODEMOS inizia un processo di scivolamento verso posizioni moderate.
Alle richieste unitarie di IU risponde che non vuole somme di sigle. Nonostante IU non le proponga affatto è Iglesias in TV a rappresentare così la proposta unitaria di IU.